BETTER PRACTICE – WALKABLE CITIES: LA VIA ITALIANA PER RIDURRE IL RISCHIO CARDIOVASCOLARE, L’OBESITÀ E IL DIABETE ATTRAVERSO LA MOBILITÀ ATTIVA
Cento anni fa solo due persone su dieci della popolazione mondiale vivevano nelle aree urbane. Nella metà del 21° secolo questo numero arriverà a sette. La popolazione urbana, pertanto, è in crescita costante: ogni anno aumenta di circa 60 milioni di persone, soprattutto nei Paesi a medio reddito. Proiezioni di popolazione mostrano che nei prossimi 30 anni la crescita globale avverrà virtualmente soltanto nelle aree urbane. Tuttavia, secondo quanto riportato dall’UNICEF, circa un terzo della popolazione urbana mondiale vive nei bassifondi, dove si concentrano povertà, emarginazione e discriminazione; entro il 2020 le persone che vivranno in insediamenti non ufficiali e negli slum saranno quasi 1,4 miliardi. Quasi il 10% della popolazione urbana, inoltre, vive in megalopoli, città con oltre 10 milioni di abitanti che si sono moltiplicate in tutto il pianeta, ma la quota maggiore dell’incremento in ambiente urbano si sta verificando non nelle megalopoli ma in città più piccole. Il notevole incremento della popolazione nelle aree urbane è legato anche ai fenomeni migratori; le regioni urbane dell’Unione europea, fatta eccezione per la Francia, tendono a registrare, infatti, gli incrementi demografici più elevati a causa del saldo migratorio.
La migrazione della popolazione verso le aree urbane si accompagna anche a modifiche sostanziali degli stili di vita rispetto al passato. Cambiano le abitudini, cambia il modo di vivere, i lavori sono sempre più sedentari, il tempo per pranzare si riduce spesso a un frugale pasto in mensa o al bar vicino all’ufficio e l’attività fisica diventa praticamente inesistente. Appare evidente come, sebbene recentemente sia stata data grande enfasi all’epidemia della cronicità, che affonda le sue origini nella diffusione di pochi fattori di rischio legati a stili di vita non salutari, ancora tanto c’è da fare per diffondere una cultura della prevenzione che miri a sviluppare consapevolezza nelle scelte di salute delle persone.
Le malattie non trasmissibili, soprattutto quelle cardiovascolari, il cancro, il diabete e i disturbi respiratori cronici, rappresentano oggi il principale rischio per la salute e lo sviluppo umano.
Il piano d’azione dell’OMS evidenzia come sia indispensabile per lo sviluppo sociale ed economico di tutti i paesi, investire nella prevenzione di queste malattie, e come questa sia una responsabilità di tutti i governi.
Il WHO stima che il 63% della mortalità globale, circa 36 milioni di morti all’anno, sia dovuto a malattie non trasmissibili (NCD). Una buona parte di questi decessi è attribuibile a rischi legati all’urbanizzazione.
Questi rischi includono: inattività fisica e obesità, malattie cardiovascolari e polmonari da inquinamento atmosferico urbano generato dai trasporti, cardiopatia ischemica e tumori derivati dal cattivo riscaldamento casalingo, asma da inquinamento atmosferico interno e ictus e malattie legati al riscaldamento atmosferico. L’inquinamento atmosferico da solo è responsabile di 3,7 milioni di morti all’anno, principalmente attribuiti alle malattie non trasmissibili. Inoltre, l’inattività fisica è responsabile di 3,2 milioni di morti ogni anno, e gli incidenti stradali causano circa 1,3 milioni di morti all’anno – entrambi i rischi per la salute sono probabilmente molto più elevati tra le popolazioni urbane.
Le malattie trasmissibili sono anche esse associate a un ambiente urbano malsano. Includono tubercolosi e malattie infettive malattie trasmesse da vettori connessi alla non fluoridificazione dall’acqua potabile.
È importante sottolineare inoltre che le città sono responsabili di una grande quantità di emissioni di inquinanti atmosferici e atmosferici, come CO2, carbone e metano e che queste emissioni giocano un ruolo importante nell’aumento dei tumori.
Bisogna considerare come l’ambiente obesogeno creato dall’urbanizzazione ha un impatto diretto sugli indici di mortalità come alcuni dati consolidati confermano:
L’Inattività fisica causa 5,3 milioni di morti annue
L’ipertensione causa 0,4 milioni di morti annue e 208 milioni di DALYs (Disability-adjusted life year è una misura della gravità globale di una malattia, espressa come il numero di anni persi a causa della malattia, per disabilità o per morte prematura.)
L’Obesità causa 4,4 milioni di morti annue e 134 milioni di DALYs
Le polveri sottili nell’aria causano 5,5 milioni di morti annue e 142 milioni di DALYs
Questi dati indicano come 2/3 del burden of disease è correlato a comportamenti individuali e solo 1/3 all’inquinamento atmosferico.
Tutti dati epidemiologici correlati all’urbanizzazione e che finiscono per avere un impatto reale sui sistemi sanitari in termini economici.
L’inattività fisica: costa $ 67,5 miliardi nel 2013 (tra spese sanitarie e perdita di produttività)
Nel Diabete la spesa sanitaria è aumentata negli ultimi dieci anni da 612 a 1099 miliardi di dollari
Il cattivo controllo della pressione sanguigna costa circa 100 miliardi di dollari all’anno
L’inquinamento atmosferico si stima che ha avuto un impatto 21 miliardi di dollari nel 2015 sulla spesa sanitaria
Sicuramente il Diabete Tipo 2 è uno degli oggetti di maggiore evidenza
e studio a livello globale correlato all’urbanizzazione.
Il diabete sta aumentando a un ritmo allarmante in tutto il mondo
La prevalenza globale del diabete è quasi raddoppiata negli ultimi 16
anni, dal 4,6% nel 2000 a oltre il 9% nel 2017.
La curva epidemiologica attuale è insostenibile per i nostri cittadini, per le loro famiglie, per il sistema sanitario e per le economie di città e nazioni.
La conseguenza, se non agiamo ora su questa tendenza allarmante, è che – più di 1 adulto su 9 avrà il diabete entro 30 anni .
Questo per un totale di 736 milioni di persone con diabete – che è di 300 milioni in più rispetto ad oggi. Bisogna riflettere su questo. 300 milioni di persone – che è quasi equivalente alla popolazione degli Stati Uniti!
Questo aumento della prevalenza del diabete ha anche un costo economico che è semplicemente insostenibile per i nostri sistemi sanitari e società. La spesa sanitaria supererebbe 1 trilione di dollari.
Il diabete è una malattia complessa con molti fattori di rischio e paradigma delle mattie croniche in generale. La crescente prevalenza del diabete di tipo 2 è associata a livelli più elevati di urbanizzazione, invecchiamento della popolazione, stili di vita più sedentari, attività fisica insufficiente e un consumo più elevato di cibi malsani, gli ultimi tre dei quali alimentano l’epidemia di obesità.
Sebbene fattori come l’invecchiamento della popolazione non possano essere modificati, è fondamentale non considerare la portata del diabete come inevitabile
Per ridurre la curva del diabete, dobbiamo impegnarci ad affrontare la causa modificabile più significativa: l’obesità.
Nel 2014, l’ultimo anno per il quale sono disponibili stime globali, più di 1 su 3 adulti di età superiore ai 18 anni era in sovrappeso e più di 1 su 10 aveva obesità.
I dati dell’OMS ci indicano come nel 2035 il 70% le persone con diabete vivrà nelle città: 347 milioni rispetto ai 147 milioni che abiteranno fuori dai grandi centri abitati. Pare quindi che le città siano “catalizzatrici” per il diabete: chi si sposta in città ha infatti maggior probabilità di sviluppare la malattia rispetto a chi rimane fuori dai grandi centri.
A livello globale nel 2014 il 65% delle persone con diabete viveva in aree urbane, un numero che nel 2040 le stime indicano che arriverà al 74%.
In Italia il 37% delle persone con diabete vive nelle 14 città metropolitane ad indicare un fenomeno in ampia espansione clinico-epidemiologico che oggi viene studiato attraverso il progetto internazionale cities changing diabetes che vede coinvolta Roma tra le 14 città coinvolte a livello globale.
Evidenze scientifiche dimostrano come luogo nel quale si vive influenzi il controllo del diabete. Da uno studio studio pubblicato sull’American Journal of Epidemiology condotto sugli abitanti di New York. che esamina direttamente questa relazione.
Il Dipartimento di salute e igiene mentale della città di New York ha introdotto la segnalazione obbligatoria dei livelli di emoglobina glicata della popolazione in un apposito registro di salute pubblica. I ricercatori della Mailman School of Public Health della Columbia University hanno analizzato questi dati nell’arco di 7 anni (dal 2007 al 2013) in 182.756 adulti di diverse etnie. Ne è emerso che chi viveva in quartieri residenziali aveva una probabilità due volte e mezzo maggiore di avere buon controllo glicemico (sotto il 7%) rispetto alle persone che vivevano nei quartieri con condizioni socio-economiche più svantaggiate. Tali dati vengono anche confermati dai primi studi condotti a Roma dal team di Cities Changing Diabetes, dove si è evidenziata una differenza di prevalenza che va dal 5,88% della Roma A (quartiere residenziale del centro) al 7,31% della Roma D (quartiere periferico) e da quelli realizzati a Torino all’interno del rapporto L’equità nella salute in Italia, dove viene evidenziato che chi nasce nella zona precollinare di Torino, ha un’aspettativa di vita di quasi quattro anni superiore (82,1) rispetto a chi viene al mondo nella circoscrizione operaia delle Vallette (77,8).
La maggior presenza di punti vendita alimentari salutari e una maggiore presenza di aree pedonali e per il walking urbano possono favorire un miglioramento delle condizioni di salute.
I risultati di uno studio condotto dall’INRS di Montrel, pubblicato su Preventive Medicine, dimostra come i bambini che vivono in quartieri più walkable hanno un BMI inferiore e livelli di sovrappeso minori dei coetanei che vivono nei quartieri dove l’urbanizzazione non consente una attività motoria adeguata. dove una misurazione della vita migliore e (indice di massa corporea). Questi dati dimostrano come il design urbano è un fattore importante nello sviluppo dell’obesità infantile. Lo studio canadese identifica nello sviluppo di infrastrutture che rendano i quartieri più walkable per ridurre l’obesità infantile. Progettare quartieri con aree pedonali dedicate nei quartieri ad alta densità abitativa, strade più sicure con l’impiego di semafori e indicazioni di attraversamento, possono anche incoraggiare i bambini all’utilizzo di biciclette, giocare all’aperto, e impegnarsi in attività motorie che portano a ridurre l’impatto del sovrappeso
Anche in questo caso gli autori evidenziano come vi sia un BMI più basso nei quartieri con maggiore pedonabilità, con negozi alimentari di qualità .
Altri studi dimostrano come andare in bicicletta al lavoro riduce il rischio di cancro. Andare a piedi per le vie cittadine o nei parchi urbani (se ci sono) abbassa la pressione e il rischio cardiovascolare. Due recenti mega studi sul ruolo dell’attività fisica, anche moderata ma quotidiana, sulla buona salute, soprattutto per chi vive in città, lo confermano con risultati tali da consigliare d’ora in poi una progettualità urbana che tenga conto di quanto la scienza medica ha verificato.
Rendere le città modelli di promozione della salute: le walkable cities
Il primo studio, il più grande mai realizzato sul legame tra la possibilità di camminare in città (il che riguarda la pedonabilità di strade e marciapiedi in salute e sicurezza) e la pressione sanguigna è stato considerato dai ricercatori come una prova del valore del “design urbano” nel migliorare i risultati a lungo termine sulla salute.
Lo studio ha considerato circa 430.000 persone di età compresa tra i 38 e i 73 anni, residenti in 22 città del Regno Unito. Ed ha rilevato associazioni significative tra la migliore e aumentata pedonabilità di un quartiere, la pressione sanguigna più bassa e il rischio ridotto di ipertensione tra i residenti. I risultati sono rimasti coerenti anche dopo aggiustamenti per variabili socio-demografiche, stile di vita e ambiente fisico, sebbene gli effetti protettivi fossero particolarmente pronunciati tra i partecipanti di età compresa tra i 50 e i 60 anni, le donne e coloro che risiedono in quartieri più disagiati. Il lavoro è stato pubblicato da International Journal of Hygiene and Environmental Health.
Per misurare il potenziale di promozione dell’attività pedonale di un quartiere, i ricercatori hanno sviluppato un indice di walkability comprendente parametri urbani rilevanti, tra cui densità residenziale, trasporto pubblico, movimento a livello stradale e vicinanza a destinazioni di pubblico interesse.
Gli spazi progettati in modo inadeguato generalmente inibivano la camminata e l’attività fisica, promuovendo stili di vita sedentari, e rivelandosi dannosi per le interazioni sociali, con conseguenze negative anche per la salute mentale e il benessere dei più poveri.
Studiando solo l’ipertensione, importante fattore di rischio per le malattie croniche e cardiovascolari, i ricercatori dell’Università di Hong Kong e dell’Università di Oxford hanno, quindi, dimostrato la necessità di interventi di sanità pubblica come fattore di progettazione urbana. “Con il ritmo crescente dell’urbanizzazione e dei cambiamenti demografici verso un invecchiamento della popolazione, diventiamo più vulnerabili alle malattie croniche”, dice Chinmoy Sarkar, docente presso il laboratorio di Healthy High Density Cities dell’Università di Hong Kong e primo autore dello studio. Che aggiunge: “Gli interventi di sanità pubblica devono considerare il valore intangibile della pianificazione urbana e del design. Stiamo spendendo miliardi di sterline per prevenire e curare le malattie cardiovascolari, ma se saremo in grado di investire nella creazione di città sane attraverso piccoli accorgimenti nella progettazione dei nostri quartieri, per renderli più adatti alle attività fisiche e calpestabili, allora probabilmente avremmo significativi risparmi nelle spese sanitarie future”.
Le città dovrebbero perciò essere modificate o progettate per incoraggiare l’attività fisica, a cominciare dalle semplici passeggiate per rilassarsi o per lavoro. Il pensiero di Sarkar: “Investimenti in un design che tenga conto della salute possono portare a guadagni a lungo termine”. Nel solo Regno Unito si stima che oltre 7 milioni di persone siano affette da malattie cardiovascolari, che rappresentano circa 160.000 morti ogni anno e 19 miliardi di sterline (circa 21 miliardi e mezzo di euro) in costi sanitari.
Ampio e diversificato in analisi e verifiche, lo studio ha anche consentito di esaminare gli effetti della pedonabilità sulla pressione sanguigna di specifici sottogruppi di residenti che, secondo Sarkar, potrebbero fornire preziose informazioni su come gestire i cambiamenti demografici. Rammentando che l’urbanizzazione della crescente popolazione mondiale è un dato di fatto: già oggi oltre la metà (54,5%) della popolazione totale vive nelle città e si prevede che tale cifra salirà al 60% entro il 2030, con una persona su tre che vivrà in città con minimo mezzo milione di abitanti.
“La progettazione e l’ammodernamento delle città per promuovere stili di vita attivi potrebbero, quindi, avere ripercussioni significative sulla salute delle popolazioni urbane e sulla spesa relativa dei governi in tutto il mondo – conclude Sarkar -. Le città ben progettate di oggi saranno città sane di domani”.
Il secondo grande studio sul tema attività fisica in città proviene anch’esso dalla Gran Bretagna, in particolare dalla Scozia, ed è stato pubblicato sull’autorevole British Medical Journal. È particolarmente interessante in quanto basato su un ampio numero di pazienti (più di 250mila) che sono stati seguiti a lungo, per più di 5 anni. In particolare, è stato preso in considerazione il modo in cui queste persone si recano al lavoro. È stata rilevata una grande differenza in termini di salute fra coloro che vanno al lavoro con modalità di spostamento attive (a piedi o in bici) e coloro che invece si spostano passivamente (con i mezzi pubblici o in automobile).
Ed ecco cosa è risultato: chi va in bici al lavoro ha il 45% di probabilità in meno di ammalarsi di cancro e il 46% di probabilità in meno di ammalarsi di malattie cardiovascolari. I lettori più a proprio agio con la statistica staranno pensando che chi pedala può solitamente avere in generale uno stile di vita più salutare (per esempio per quanto riguarda l’alimentazione o il fumo), e anche questo può influire. In realtà l’effetto benefico della bici è presente anche dopo aver eliminato con metodi statistici l’influenza di questi altri fattori nocivi.
Un effetto simile è stato misurato su chi camminava per andare al lavoro, ma in questo caso la correlazione fra attività fisica e ridotto rischio di malattie è meno evidente. Questo perché l’attività è meno intensa. In media, i ciclisti del campione studiato pedalavano per 48 chilometri a settimana. All’aumentare di questa cifra diminuiva la probabilità di sviluppare malattie. Per quanto riguarda i camminatori, erano necessari almeno 10 chilometri a settimana per avere benefici. Molto interessante una considerazione fatta dagli studiosi: una volta che l’andare in bici al lavoro diventa una abitudine, farlo non richiede più alcuna “spesa” in termini di forza di volontà; al contrario ad esempio dell’andare in palestra dopo una giornata di lavoro, cosa che richiede ogni volta uno sforzo mentale importante – con il conseguente rischio di abbandono. Insomma, includere la bici nella propria routine quotidiana non è un peso, dopo un primo periodo di adattamento, mentre altre attività sportive possono esserlo.
In sintesi, questi due studi scientifici hanno messo il dito nella piaga del Terzo Millennio: la sedentarietà ha innescato una vera e propria emergenza sociale; in tutto il mondo, l’obesità e le conseguenze dell’inattività fisica peggiorano, infatti, la qualità di vita quotidiana delle persone, fanno impennare i costi della sanità pubblica e causano milioni di morti ogni anno. Non servivano certo questi due studi per comprendere la situazione malsana, ma è importante avere conferme scientifiche per smuovere le acque, convergere le intelligenze, smuovere la pigrizia politica.
Qualcosa comunque stava già cambiando. Dai caffè di New York alle stradine di Melbourne fino alle mura di Fes el-Bali, questi paradisi pedonali uniscono sicurezza, bellezza e comfort. Mentre Copenaghen ed Amsterdam sono a misura di ciclisti. Ora gli urbanisti illuminati stanno prendendo appunti visitando queste città per cercare di restituire le città a pedoni e ciclisti. Per renderle adatte all’attività fisica. E questo dopo decenni nei quali si è pianificato il contrario, agendo contro il semplice atto del camminare. Complicandolo, a favore di auto e trasporti di vario tipo. Solo di recente, alcune città hanno fatto passi da gigante nel cambiamento concettuale a favore della pedonabilità: dagli ambiziosi programmi delle piazze pubbliche di New York e Parigi alla pedonalizzazione delle strade principali, realizzato nel caso di Strøget a Copenaghen, proposto nel caso di Oxford Street a Londra e della Gran Vía a Madrid. Ultimo atto significativo, il Passaporto di Roma (Città per camminare e della salute) che, attraverso percorsi urbani e turistici, promuove il cammino come attività di prevenzione primaria e a basso costo per malattie quali l’obesità, il diabete e quelle cardiovascolari. Non un punto di arrivo, ma solo l’inizio di una nuova politica favorita dall’azione pressante e qualificata dell’Health City Institute e di Cities Changing Diabetes Italia.
Il quotidiano britannico The Guardian ha dedicato un’inchiesta giornalistica alle città sane e a misura di pedoni, partendo da alcuni recenti libri in materia. Come Walkable City di Jeff Speck dove si codifica la Theory of Walkability e si afferma che un viaggio a piedi dovrebbe soddisfare quattro condizioni principali: essere utile, sicuro, confortevole e interessante.
Speck nel suo libro sostiene che “l’America si può salvare un passo alla volta” e che “la struttura della città – la varietà di edifici, facciate e spazi aperti – ne è la chiave”. Le città del Nord America, dell’Australia e del Canada, costruite per le automobili, hanno oggi la sfida di adeguare le infrastrutture per una società che va a piedi. Che deve andare a piedi, innanzitutto per il suo benessere.
Le città europee più vecchie sono state costruite per essere percorse a piedi, quindi hanno già una buona base strutturale per tornare a essere pedonabili, “anche se mancano marciapiedi, incroci e altre infrastrutture per i pedoni, come nel caso di Roma”, dice Speck, che però ancora non sa del Passaporto. “Roma, a prima vista, sembra orribilmente inospitale per i pedoni – osserva -. In metà delle strade mancano i marciapiedi, la maggior parte delle intersezioni non ha incroci, i marciapiedi sono irregolari e solcati, le rampe per disabili sono in gran parte assenti. Ma nonostante tutto questo, i suoi 7 colli e il traffico aggressivo, il percorso ad ostacoli anarchico che offre Roma è in qualche modo una calamita per gli escursionisti. Perché? Perché il suo tessuto urbanistico è superbo, il suo passato è l’optimum per la pedonabilità”. La sfida di ridare la città ai pedoni quindi, secondo Speck, per Roma sarebbe più facile. Basta volerlo. Il Guardian ci parla anche del Walk Score, che consente a potenziali acquirenti e a potenziali locatari di scegliere case in base alla pedonabilità. Esiste una classifica delle città in tal senso. Riguarda per ora Stati Uniti, Canada e Australia. New York è in cima alla lista negli Stati Uniti per il 2017, con un totale di 89 voti su 100, con Little Italy e Union Square che hanno ottenuto il massimo dei voti. San Francisco si è classificata seconda, seguita da Boston. Vancouver, Toronto e Montreal si classificano prima, seconda e terza in Canada; mentre le città australiane più percorribili a piedi (casa-lavoro, casa-negozi) sono Sydney, Melbourne e Adelaide.
New York non è una sorpresa. Ha iniziato il suo programma di trasformazione urbana nel 2007, con il fiore all’occhiello della pedonalizzazione di Times Square nel 2009. L’allora commissario dei trasporti di New York, Janette Sadik-Khan, dichiara dopo dieci anni: “Abbiamo cambiato la città. Luoghi in cui la gente voleva solo parcheggiare oggi sono posti dove la gente vuole essere, passeggiare, sedersi. Lo spazio stradale è diventato spazio per sedersi piacevolmente. Sulla 23ma, dove tre strade si incontrano, abbiamo creato 20.000 metri quadrati di spazio pubblico. Le persone oggi scelgono di sedersi per strada piuttosto che nel parco”.
Ma New York City è ben lungi dall’essere perfetta, detenendo il terzo peggior score in un’analisi sulla congestione da traffico urbano ed extra-urbano effettuata da Inrix su 1.064 città di 38 Paesi. I pendolari di New York passano in media 89,4 ore all’anno bloccati nel traffico. Nonostante questo ciò che è stato realizzato a New York, con percorsi pedonabili tra vetrine, panchine e fioriere, ha aperto gli occhi della cittadinanza, non più disponibile a tornare indietro. Le aree pedonali sono gradite e altamente frequentate. E le abitazioni in queste aree sono aumentate di valore.
Janette Sadik-Khan oggi lavora con i sindaci delle città di tutto il mondo tramite Nacto (l’Associazione Nazionale degli Ufficiali di Trasporto Urbano) e di recente ha pubblicato un manuale di strategia urbanistica, “Street Fight: manuale per una rivoluzione urbana”, per aiutare altri pianificatori a imparare dalla sua esperienza. Il lavoro di Nacto e Sadik-Khan sul programma Paris Pietons si basa chiaramente sull’esempio di New York. Entro il 2020, sette piazze parigine saranno ridisegnate, offrendo il 50% di spazio in più a chi va in bici e a piedi. La Place de la République è stata trasformata secondo questi parametri nel 2013. Da trafficata rotonda a spazio a misura pedonale e ciclistico. “I contrari hanno detto che sarebbe stato il caos, ma non è così – dice Christophe Najdovski, il vice sindaco di Parigi con competenze per i trasporti che ha realizzato la trasformazione -. Ora è un posto dove le persone possono riposare, dove vanno le famiglie con bambini e gli anziani”. Nell’ambito del progetto Paris-Plages, poi, un ex spazio stradale sulla Senna e il bacino del canale La Villette vengono trasformati in un resort “balneare” ogni estate. Parigi è stata fatta per camminare, in seguito le macchine hanno preso il sopravvento e ora la sfida è recuperare il passato. Dice Najdovski: “Puoi camminare da un’estremità di Parigi all’altra in meno di due ore, ma storicamente la città ha dovuto adattarsi alle auto. Il risultato: inquinamento e congestione. Oggi è camminare la principale sfida politica”. Perfino lo slogan del movimento del presidente Emmanuel Macron, “En marche”, è risultato vincente.
Le città di tutto il mondo stanno prendendo provvedimenti. Madrid ha introdotto fontane d’acqua per aiutare i pedoni a far fronte alle calde estati. Medellín, in Colombia, ha costruito funivie per collegare i quartieri poveri con le aree impiegatizie e lavorative, ha istituito parchi con biblioteche e allargato i marciapiedi per incoraggiare la pedonabilità. Melbourne, in Australia, ha trasformato vicoli malfamati e utilizzati come discariche nei suoi ormai famosi “vicoli”, con posti a sedere all’aperto per caffetterie e ristoranti.
Guangzhou, in Cina, ha il maggior numero di percorsi per passeggiare al mondo. La riqualificazione delle rive del fiume Perla per creare un corridoio ecologico ha collegato sei percorsi, per un totale di quasi 100 chilometri di greenways, che collegano le attrazioni turistiche e le strutture sportive utilizzate da sette milioni di persone. Cercare di combattere l’inquinamento e ridare salubrità alle megalopoli è una delle sfide dei sindaci cinesi.
Ed eccoci alla Corea del Sud. A maggio 2017, Seoul ha aperto la sua versione della High Line. Uno “sky garden” di mezzo miglio creato da un ex cavalcavia dell’autostrada degli anni ’70. È l’ultimo atto di un audace progetto per trasformare la città a misura di pedoni. E solo un decennio fa, una grande superstrada sopraelevata a quattro corsie fu abbattuta per riportare alla luce del sole il torrente sottostante e ridare le sue sponde agli escursionisti.
A Londra sta andando avanti la trasformazione di Oxford Street, dove i pedoni sono stati stipati in stretti marciapiedi tra code di autobus per decenni. L’anno prossimo, la strada diventerà quella che Val Shawcross, vice sindaco e assessore ai trasporti, definisce uno “spazio pedonale di livello mondiale”, con autobus e taxi banditi. L’idea è quella di tagliare il traffico nel centro di Londra e incoraggiare a camminare e andare in bicicletta nella zona, prima dell’apertura di Crossrail alla fine del 2018.
Mario Alves, della Federazione Internazionale dei Pedoni, commenta: “Oltre alle città in cui uno sforzo consapevole è stato fatto per migliorare le condizioni di pedonabilità, altre sono già da anni percorribili a piedi per la loro storia e a causa dei loro centri storici. C’è Firenze in Italia, Vientiane in Laos, Kyoto in Giappone. Ma la più sorprendente è forse Fes el-Bali, l’area difesa da antiche mura di Fes, la seconda città più grande del Marocco”. Fes el-Bali fu originariamente fondata come capitale della dinastia degli Idrisidi tra il 789 e l’808. Oltre ad essere famosa per ospitare la più antica università del mondo, Fes el-Bali, con 156 000 persone che vivono in uno spazio di 3,5 chilometri quadrati, è la più grande area urbana del mondo in cui è vietato da sempre il transito delle automobili.
In Italia con il progetto Cities Changing Diabetes si è realizzata una prima rete di walkable cities con 523 percorsi suddivisi tra tutte le regioni ed in 217 città diverse: per un totale complessivo di 2.666 km.
CONTEXT ROMA
Roma è la città in Italia che registra il più alto numero di turisti, la città più estesa e la città con il più alto numero di abitanti; è stata una sfida l’inserimento nelle WALKABLE CITIES, una sfida vinta.
E’ infatti la città in cui è stato proposto il maggior numero di percorsi pedonali, sono presenti sull’applicazione oltre 60 percorsi 22 dei quali presenti anche sul Passaporto e 18 sulla Mappa, per complessivi 360 Km circa che fanno di Roma la prima walkable city in Europa.
Sono percorsi pensati appositamente per il cammino, uniscono le diverse anime di Roma, coinvolgono infatti l’intera città metropolitana con proposte diversificate che vanno dall’itinerario storico teso alla scoperta dell’immenso patrimonio architettonico ed artistico a quello naturalistico più inaspettato tra pinete e parchi secolari a pochi passi dal centro. Sono tutti ideali da percorre a piedi e sono “per tutti i piedi”, ci sono infatti i percorsi più sportivi che meglio si prestano al cammino veloce e ad un approccio più allenante e quelli in grado di ritemprare la mente e lo spirito grazie alla bellezza nella quale sono immersi.
CONTEXT BARI
La città di Bari ben si presta ad una fruizione pedonale, è un centro urbano a misura d’uomo che ha nell’affaccio sul mare il suo punto di forza. La maggior parte dei percorsi proposti ha infatti questo denominatore comune, o si sviluppano sul lungo mare oppure collegano centro e mare in un costante dialogo tra i due elementi, tra città nuova e città vecchia.
Il lungomare di Bari, tra i più vasti di Europa con i suoi 16 Km, attraversa la città fiancheggiando tutta la costa, è stato recuperato recentemente alla piena fruizione dei cittadini per la pratica di esercizio fisico e sport, è un punto di incontro importante per tanti sportivi e meta prediletta dei podisti cittadini, ben si presta alla pratica del cammino sia veloce che sotto forma di passeggiata quotidiana.
CONTEXT MILANO
Milano è la città italiana che più guarda alle grandi metropoli internazionali, attenta e ricettiva verso gli stimoli nuovi ha ben saputo cogliere l’opportunità di proporsi come città “per e da camminare” proponendo itinerari nell’intera città metropolitana.
I percorsi proposti spaziano infatti dal centro cittadino, ai parchi più conosciuti e frequentati come l’Idroscalo ed il Parco Sempione, ai nuovi quartieri ridisegnati grazie all’impulso dell’Expo 2015 come City Life e Porta Nuova, sino ai comuni dall’Alto Milanese al Magentino Abbiatense, da Nord a Sud della città sino alla Martesana. L’elemento che li collega tutti è il cammino inteso sia come mezzo per muoversi all’interno della città in combinazione magari con l’auto o con i mezzi pubblici che come strumento alla portata di tutti per tenersi attivi. Milano sarà città olimpica nel 2026 e punto di riferimento ideale per sviluppare un progetto di maggiore sostenibilità dell’eredità olimpica attraverso l’ideazione delle “OLYMPIC ROADS FOR HEALTH”, percorsi inseriti nel contesto delle aree olimpiche perché divengano patrimonio della città per l’esercizio fisico, sportivo e salutistico dei cittadini.
CONTEXT TORINO
Torino per la sua storia industriale è la città dell’auto per definizione questo non le ha però impedito di essere una delle città con più aree verdi a livello nazionale. Questa apparente dicotomia ha rappresentato la base di partenza per la proposta dei percorsi individuati inizialmente nei grandi parchi cittadini come il Valentino, le Vallere, il Parco Pellerina, il Parco Dora, il Parco della Tesoriera ed il Parco di Piazza d’Armi e successivamente in tutta l’area non solo urbana. E’ stata infatti coinvolta anche in questo caso l’intera città metropolitana dal centro, con un connubio tra storia, tradizione e leggenda che vuole Torino una città esoterica, sino ai comuni suburbani che lambiscono le valli montane a nord ovest e la pianura a sud est.
Torino conferma inoltre la sua vocazione di città dell’innovazione e laboratorio, è infatti il riferimento, tanto da essere inserita nel nome di “TO Walk in the City Lab”. Anche Torino come Milano e Roma è città olimpica in Italia, e come per le altre sedi di Giochi Olimpici nel Paese si identifica come riferimento per lo sviluppo del progetto “Olympic Roads for Health” pensato dal TO Walk in the City Lab”.
OUTCOMES & ACTIONS ROMA
In sinergia con il Comune di Roma sono stati progettati 52 percorsi di walking urbano e di percorsi nei parchi urbani, arrivando a una rete di più di 300 Km utilizzabili per attività motoria a costo zero, che pongono Roma la prima walkable city europea. I percorsi sono stati scelti pensando ai cittadini e alla quotidianità di utilizzo, ma anche rivolti ai turisti, dedicati alla visita della Città, dei suoi luoghi simbolo, così come di parti meno note ma che presentano altrettanto fascino e bellezza e percorsi di tipo naturalistico, ambientale o più decisamente sportivo. Una parte importante è dedicata ai percorsi delle periferie per favorire lo sviluppo sociale delle stesse. In totale i percorsi coinvolgono cica 1,5 milioni di cittadini e 1,2 milioni di popolazione insistente quali lavoratori temporanei, studenti fuori sede e city user
OUTCOMES & ACTIONS BARI
In collaborazione con il Comune di Bari e della Città Metropolitana sono stati sviluppati 15 percorsi per un totale di 44 Km che si sviluppano non solo nella valorizzazione del lungomare e del centro storico, ma anche delle periferie e dei quartieri a più alta densità abitativa. Il progetto trova un forte link con la progettualità del Comune di Bari che rende fruibili 43 impianti sportivi per la promozione della salute in tutte le fasce della popolazione.
OUTCOMES & ACTIONS MILANO
Sono stati realizzati 43 percorsi urbani per uno sviluppo di 210 km per promuovere il movimento dei cittadini e in particolare la camminata come sana abitudine nella prevenzione delle malattie croniche non trasmissibili, come diabete e obesità.
Entro il 2026 (anno delle Olimpiadi invernali Milano-Cortina) entreranno nel passaporto e nel progetto “OLYMPIC ROADS FOR HEALTH” tutti i 103 comuni dell’hinterland milanese con almeno un percorso per camminare in ciascuno.
OUTCOMES & ACTIONS TORINO
Il progetto nasce in Piemonte nel 2008 in Piemonte dall’esperienza del campione olimpico di marcia Maurizio Damilano. Per testarlo al meglio si è svolta nel triennio 2009 – 2011 una fase pilota in Piemonte che ha visto coinvolte 47 città e la partecipazione di circa 500 mila cittadini. Oggi solo nella città di Torino sono stati sviluppati 20 percorsi per un totale di 90 Km, che si sviluppano nei contesti verdi della città.
Grazie agli sforzi delle Associazioni pazienti e delle autorità sanitarie locali, attualmente utilizzano i percorsi circa 32 gruppi di camminatori (circa 600 persone con diabete).
STRUMENTI DI CONNESSIONE TRA LE CITTA’
– IL LABORATORIO “TO WALK IN THE CITY LAB” è la realizzazione dell’idea di mettere insieme specialisti della salute, del movimento fisico, dell’urbanistica, dell’organizzazione cittadina, dello sport per sviluppare proposte e suggerimenti per come muoversi nella direzione di città più attive e in salute.
Il Laboratorio vuole poter sostenere il lavoro degli amministratori cittadini e di chi lavora nel mondo della salute e delle attività motorio e sportive, fornendo idee, studi e progettualità legate al sistema camminare all’interno delle città, e alla città che diviene luogo per camminare. Tra le prime proposte suggerite dal laboratorio vi è l’ampio lavoro da realizzare sul tema della mobilità sostenibile a piedi nelle città. Un caposaldo nel sistema che guarda alla città del futuro, una città a dimensione di cittadino e che unisce in una nuova stretta alleanza le esigenze di innovazione urbanistica e di ricerca di una miglior qualità dell’ambiente urbano e del suo sviluppo green, con quelle di benessere e di salute delle persone.
– L’APPLICAZIONE “CITTÀ PER CAMMINARE E DELLA SALUTE” è lo strumento che propone itinerari adatti al cammino indicandone le caratteristiche, i punti di interesse presenti e le informazioni utili. E’ lo strumento, insieme alle mappe, che “fa vivere il percorso” passando dalla proposta alla pratica. Attivando l’applicazione viene indicato il risparmio in termini di CO2 un ulteriore elemento di attenzione verso i temi della sostenibilità ambientale e dello spirito green che pervade le nuove città ed oggi al centro delle politiche di tutte le istituzioni, nazionali, regionali e mondiali.
– LE MAPPE E I PASSAPORTI insieme all’applicazione, sono lo strumento che rende immediatamente fruibili i percorsi localizzandoli all’interno della città e dandone una descrizione breve ed efficace.
I passaporti permettono di identificare le caratteristiche dei percorsi, le difficoltà degli stessi, la fruibilità, le facilties (parcheggi, presenza di fontanelle dell’acqua, trasporti…) e i luoghi di interesse turistico e pubblico
– I GRUPPI DI CAMMINO “WALKING FRIEND GROUPS” nascono come elemento operativo ed attivo per una maggiore fruibilità regolare di uno o più percorsi proposti e suggeriti. I gruppi sono condotti da un Walking Friend Chief specificatamente formato che conduce il gruppo di cammino con costanza e determinazione con l’obiettivo di rendere l’esercizio fisico ed il cammino una costante, una salutare abitudine da praticarsi con continuità. Nato per facilitare lo sviluppo dell’attività fisica in pazienti diabetici e per la prevenzione della malattia ha nelle Associazioni pazienti e nelle strutture sanitarie specialistiche gli alleati principali.
In conclusione, le parole di Enrique Peñalosa, sindaco di Bogotá in Colombia: “Dio ci ha fatto pedoni. Come un pesce ha bisogno di nuotare, un uccello di volare, un cervo di correre, noi uomini dobbiamo camminare; non per sopravvivere, ma per essere felici”. Lui, in quanto sindaco, ha chiuso il centro di Bogotà alle auto una volta a settimana. Un giorno in cui ci si muove solo a piedi e in bici.
In fin dei conti, l’uomo è stato creato per camminare e tutti gli eventi della vita grandi e piccoli si sviluppano quando camminiamo tra le altre persone, in contatto diretto con chi ci cammina intorno.
BETTER PRACTICE – HEALTH CITY MANAGER: LA PROPOSTA ITALIANA SULLE NUOVE COMPETENZE E FRAMEWORK OPERATIVO NELLA GESTIONE DELL’URBAN HEALTH
È facile dire che scelte salutari portano a vivere una vita in buona salute. L’affermazione è di per sé vera ma va inquadrata in un contesto più ampio. La capacità di fare scelte salutari è dettata dalle opportunità e dalle possibilità e motivazioni personali, tutte variabili fortemente determinate da fattori esterni. Alcuni cittadini, contrariamente ad altri, hanno un buon accesso a cibi salutari e freschi, a buon mercato. Alcuni cittadini, contrariamente ad altri, hanno accesso a posti sicuri per camminare, correre, andare in bicicletta o giocare. E così via. La disuguaglianza implica che alcune popolazioni hanno maggiori opportunità rispetto ad altre di compiere scelte salutari. Significa anche che, quando gruppi vulnerabili subiscono gli effetti di una malattia, l’impatto è maggiore e le conseguenze sono notevolmente peggiori.
Se non riusciamo ad elaborare soluzioni che siano inclusive, accessibili ed eque, il divario creato dalla disuguaglianza negli esiti sanitari e di salute pubblica continuerà ad allargarsi.
La questione della disuguaglianza sociosanitaria è stata messa ancora più in rilievo a livello globale dalla pandemia da Covid-19. Il nuovo coronavirus ha colpito in maniera sproporzionata le popolazioni che già combattevano con malattie prevenibili quali obesità, diabete, patologie cardiovascolari e tumori. Ciò ha evidenziato la forte esigenza di stabilire collaborazioni trasversali fra settori per fermare l’aumento delle malattie prevenibili.
Le soluzioni si conoscono. Se si offrono supporto alle capacità e incentivi adeguati, si possono plasmare i contesti socioeconomici che influiscono sui fattori di rischio e colmare in misura crescente le disuguaglianze di salute. Le città hanno una responsabilità importante – oltre che la possibilità – di assumere un ruolo di leadership nella promozione di soluzioni innovative che creano spazi e comunità salutari e sostenibili per aiutare i cittadini a fare scelte salutari.
Ma tutto ciò potrebbe essere non sufficiente se non viene costruita una cabina di regia affidata a professionisti in grado di sviluppare piani interdisciplinari e intersettoriali e rapportarsi con i differenti livelli che operano sul sistema socio-sanitario di una città.
In questo contesto, nuove competenze professionali quali l’Health City Manager, in grado di elaborare un Urban Health Framework (UHF) appaiono indispensabili per consentire di tradurre la teoria in pratica e per incentivare i professionisti impegnati in prima linea a collaborare con gli interventi di salute e sanità pubblica in grado di promuove salute e benessere, prevenire malattie e ridurre le disuguaglianze.
L’Health City Management approach consente, quindi, di analizzare l’intreccio dei determinanti di salute nei contesti urbani per fare sì che i decision- maker e taker, pubblici e privati, specie a livello locale, possano agire per rendere le città luoghi sempre più salutari, sostenibili ed equi.
Introduzione
L’urbanizzazione rappresenta una delle principali tendenze globali del 21° secolo che ha un impatto significativo sulla salute. Oltre il 55% della popolazione mondiale vive in aree urbane, una percentuale che dovrebbe aumentare fino al 68% entro il 2050. La maggior parte dei futuri scenari legati alla crescita urbana avrà luogo nei paesi in via di sviluppo. Il mondo oggi ha un’opportunità unica di guidare l’urbanizzazione e altre importanti tendenze di sviluppo urbano in un modo che protegga e promuova la salute. Questo è importante, non da ultimo perché la salute e il benessere dei cittadini sono forse il bene più importante da tutelare e promuovere in una città.
Tuttavia, la maggior parte dei 4,2 miliardi di persone che vivono nelle città usufruisce di alloggi e trasporti inadeguati, di scarse condizioni igienico-sanitarie e di gestione dei rifiuti e di una qualità dell’aria che non rispetta le linee guida dell’OMS. Altre forme di inquinamento, come il rumore o l’eccesso di illuminazione, la contaminazione dell’acqua e del suolo, le cosiddette isole di calore urbane e la mancanza di spazio per gli spostamenti a piedi, in bicicletta e per una vita attiva si combinano ulteriormente per rendere le città epicentri non solo di malattie infettive, ma anche di malattie non trasmissibili e acceleratori (negativi) del cambiamento climatico.
Le malattie croniche non trasmissibili (NCDs), come le malattie cardiache, i tumori, l’asma, il cancro e il diabete sono aggravate da condizioni di vita e di lavoro malsane, spazi verdi inadeguati, inquinamento atmosferico e ambientale come il rumore, la contaminazione dell’acqua e del suolo, l’innalzamento delle temperature e mancanza di spazio per vivere in modo attivo. Il diabete è legato all’obesità e all’inattività fisica soprattutto nelle città prive di buone infrastrutture di trasporto e di mobilità attiva sia a piedi che in bicicletta. L’urbanizzazione è anche legata ad alti tassi di depressione, ansia e malattie mentali e alle malattie neurodegenerative.
Le risposte delle città alle sfide sanitarie devono tenere conto di molteplici minacce: l’aumento dei livelli di disuguaglianza, le malattie croniche non trasmissibili, le malattie trasmissibili come il COVID-19, i tassi di incidenti stradali persistentemente elevati e l’impatto dei cambiamenti climatici. È necessario che tali risposte siano anche essere multisettoriali, garantendo che le politiche in materia di edilizia abitativa urbana, occupazione, cibo, trasporti, ecc. lavorino insieme per avere un impatto positivo.
Alcune città stanno reagendo in modo rapido e innovativo alle minacce per la salute pubblica, basandosi sulle reti cittadine esistenti e sui partenariati con le comunità per rispondere al meglio alle esigenze delle loro popolazioni, condividendo le loro esperienze e imparando dagli altri. Molte di queste iniziative stanno rafforzando la resilienza e saranno importanti per definire la futura politica in materia di salute urbana, grazie anche ai dati di cui possono disporre e sulla base dei quali possono intervenire, grazie anche a modelli predittivi come il gemello digitale o altri ancora.
L’urban health è la scienza che studia le correlazioni tra urbanizzazione e salute, attraverso interventi multidisciplinari in grado di analizzare e monitorare i determinanti della salute per aiutare i decisori locali a quantificare l’impatto dei rischi per la salute urbana e a stimare i risparmi derivanti dall’investimento in politiche urbane che promuovono la salute; sostenere le politiche urbane che promuovano la salute come bene comune, che possano prevenire le malattie e favorire la collaborazione tra le città.
Lo sviluppo e la formazione di nuove competenze professionali, quali l’Health City Manager, ha l’obiettivo di poter gestire e coordinare gli interventi in tema di salute urbana e promuovere l’ottica della salute come bene comune.
Al fine di promuovere tale visione a tutti i livelli istituzionali e decisionali perché́ possa maturare una consapevolezza maggiore dell’urgenza che il tema della salute nelle aree urbane impone, potrebbe rivelarsi utile proprio la figura dell’Health City Manager, un profilo professionale la cui istituzione è stata proposta anche in sede europea nel contesto del parere d’iniziativa “Salute nelle città: bene comune” (Comitato delle Regioni UE, maggio 2017). Tale figura, che dovrebbe avere capacità professionali di gestione della sanità pubblica, di sociologia e psico-sociologia delle comunità̀, di architettura urbana e di controllo nella riduzione delle disuguaglianze sociali e di salute, potrebbe contribuire ad aumentare la capacità amministrativa degli Enti e a elaborare soluzioni innovative e inclusive in risposta alle istanze di salute e benessere espresse dai cittadini, guidando le città verso un modello di Healthy City.
L’istituzione di un percorso formativo per “Health City Manager”, promosso nel 2022 dall’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI), che raggruppa i circa 8000 comuni italiani e dall’Health City Institute (HCI), nasce all’interno della più ampia riflessione avviata sul tema della salute nelle città; sull’impatto, e la sua misurazione, del fenomeno dell’urbanizzazione sui determinanti della salute; sulla necessità dell’adozione di un nuovo paradigma interpretativo che tenga conto di un approccio multidisciplinare rispetto al tema e di un pieno coinvolgimento del livello istituzionale locale, rappresentato da Amministrazioni e Aziende sanitarie locali, soggetti in grado di incidere più̀ rapidamente e profondamente sulla qualità̀ e sugli stili di vita dei cittadini attraverso politiche pubbliche mirate.
Il parere di iniziativa che prendeva spunto dal “Manifesto sulla salute nelle città come bene comune” redatto nel 2016 da Health City Institute, con il coinvolgimento di 120 esperti, e siglato dal Ministero della Salute e da ANCI. Già il Manifesto identificava come punto qualificante la necessità di creare a livello delle amministrazioni comunali e delle ASL, capacità professionali e amministrative, di gestione della sanità pubblica, riconducibili alla figura dell’Health City Manager, quale professionista con competenze definite, in grado di operare in sinergia con il sindaco e con gli amministratori locali per coordinare e implementare le azioni riguardanti la salute pubblica, elaborando soluzioni innovative e inclusive in risposta alle istanze espresse dai cittadini. Si tratta di un punto che è stato ripreso interamente dal documento Roma Urban Health Declaration firmato in occasione del G7 a presidenza italiana l’11 dicembre del 2017.
La creazione di un core curriculum formativo ha permesso di individuare le conoscenze, le competenze e le abilità attinenti il profilo su dieci obiettivi di processo gestionale.
Si tratta quindi di una figura professionale la cui istituzione ha beneficiato di un solido percorso di validazione a livello sia politico-istituzionale sia accademico-scientifico, per confluire, infine, a partire dal 2021, in un percorso di alta formazione realizzato da ANCI in collaborazione con il Dipartimento per le Politiche Giovanili e con il coordinamento scientifico di Health City Institute e della Sapienza Università̀ di Roma e che ha portato all’inserimento di tale figura professionale in alcune città metropolitane, come ad esempio Genova e Palermo, ma anche la realizzazione di alcune esperienze gestionali nelle città di Bari, Bergamo, Imola, Sanluri, Milano, Torino, con l’inserimento dell’Health City Manager nelle strutture gestionali delle città coinvolte..
Questi professionisti necessitano di strumenti di pianificazione operativa in grado di sistematizzare gli interventi da operare in collaborazione con altre figure professionali e con i vari dipartimenti dell’amministrazione comunale.
Già nel 2021 il Ministero della Salute nel “Documento di indirizzo per la pianificazione urbana in un’ottica di Salute Pubblica”, documento sviluppato con l’obiettivo di individuare i criteri che possano aiutare gli operatori e i decisori nella valutazione della pianificazione urbanistica finalizzata alla promozione della salute e dei corretti stili di vita e nell’ottica della Urban Health, identificava la figura professionale dell’Health City Manager, come professionista che si colloca a stretto contatto con il Sindaco, gli Assessori e i decisori politici che già operano nei Comuni (Mobility / Disability / Smart City Manager) e nei Territori, quali, ad esempio, i medici e gli epidemiologi che lavorano nelle agenzie sanitarie locali (ASL, ATS, ecc.). Il dibattito contemporaneo, peraltro, si orienta e si concentra proprio sulla necessità improrogabile di ripristinare la stessa collaborazione tra la componente progettuale (architettonica e urbanistica) e le professioni sanitarie, come fu caratterizzante per il XIX Secolo quando le più importanti metropoli europee subirono profonde trasformazioni urbane per scopi di Igiene Ambientale e Salute Pubblica, ancor prima della sostenibilità ambientale, che all’epoca non rappresentava un obiettivo prioritario.
In occasione della Presidenza italiana del G20, nel bridge event del 21 Giugno 2021 “Health in the cities: key priorities for the italian G20 2021: global health for the future of people, planet, prosperity” viene redatto, da un gruppo di esperti, l’Italian urban health declaration, documento che raccomanda che i Governi dei Paesi del G20 si impegnino a sviluppare politiche e azioni in grado di:
– Investire nella promozione della salute e del benessere delle città;
– Affrontare i determinanti sociali e culturali per una salute equa per tutti i cittadini;
– Integrare la salute in tutte le politiche urbane;
– Coinvolgere e impegnare le comunità locali nell’assicurare soluzioni sostenibili per la salute;
– Creare soluzioni in partenariato con altri settori in modo trasversale per creare un nuovo concetto di città;
Il documento finale evidenzia come la città possano diventare modelli di ambienti salutogenici, in cui la figura dell’Health City Manager coordini la governance e il monitoraggio, di processo e di esito, delle politiche pubbliche per la qualità della vita, stabilendo obiettivi specifici sostenibili, raggiungibili e valutabili.
Le raccomandazioni del documento vengono riprese dalla G20 Roma Leaders Declaration che al punto n°20 “Cities and Circular Economy”, enuncia: We commit to increase resource efficiency, including through the G20 Resource Efficiency Dialogue and recognize the importance of cities as enablers of sustainable development and the need to improve sustainability, health, resilience and well-being in urban contexts as underlined by the Habitat III New Urban Agenda. With the involvement of businesses, citizens, academia and civil society organizations ….
In questo contesto, inoltre, la pandemia COVID-19 ha fatto emergere la necessità di un nuovo concetto di benessere delle comunità, in relazione all’ambiente costruito, e di Salute Pubblica, passando da un modello medico, focalizzato sull’individuo, a un modello sociale, in cui la salute è considerata come la risultante dell’interazione tra vari elementi socio-economici, culturali e ambientali, i cosidetti determinanti distali di salute e malattia. Si rivela, quindi, necessario fortificare la collaborazione multidisciplinare tra progettisti (urbanisti, architetti, trasportisti, ecc.), esperti di Salute Pubblica (igienisti e professionisti sanitari) e Policy Makers, sviluppando abilità operative sistemiche in grado di affrontare la complessità della gestione dei contesti urbani. Occorre rendere le città contemporanee maggiormente resistenti alle emergenze sanitarie e ambientali, garantendo una prima risposta efficace da parte del territorio e delle infrastrutture sanitarie, per affrontare al meglio possibili emergenze sanitarie future. La città e il welfare sanitario sono, infatti, strettamente correlati e diventano, insieme, l’ambito su cui si giocano le sfide del nostro tempo. Ma questo necessita di pianificatori della salute urbana.
Gli Health City Manager quali pianificatori di intervento sulla salute urbana, insieme ai Policy Makers, dovranno tuttavia tendere alla promozione collegiale della digitalizzazione del contesto urbano, promuovendo la concretizzazione delle Smart Communities non per meri scopi di monitoraggio della popolazione, ma a fini di divulgazione rapida e sistemica delle informazioni, con particolare riferimento a quelle di carattere ambientale e sanitario. L’uso dei sistemi IoT (Internet of Things) consentirebbe, infatti, rapide e cospicue azioni di raccolta dei dati. Un esempio potrebbe essere rappresentato dalle stazioni di rilevamento integrato, dotate di sensori in grado di rilevare e valutare la presenza di diversi agenti atmosferici, tra cui gli inquinanti, parametri fisici, quali la pressione sonora, e meteorologici, come temperatura, umidità dell’aria, velocità e direzione del vento.
I dati raccolti potrebbero essere utilizzati in modo aggregato, consentendo di testare l’efficacia dei progetti urbani temporanei e sperimentali (Tactical Urbanism) e, se necessario, di riconfigurare gli stessi in modo appropriato. A tale proposito le attuali reti di monitoraggio urbano, finalizzate al controllo della qualità dell’aria e dell’acqua, potrebbero rappresentare un utile punto di partenza per la realizzazione di questi sistemi.
Framework operativo sull’urban health
Lo sviluppo di un framework operativo si rende necessario per guidare coloro che lavorano sull’urban health nelle città e in stretto contatto con gli amministratori comunali e con quelli sanitari, per capire cosa ci vuole per sviluppare piani specifici riguardanti la prevenzione e programmare successivi interventi di programmazione e promozione sanitaria.
L’utilizzo di un framework operativo, già studiato dall’UCL e dalla Steno Center di Copenaghen, offre un approccio articolato in sei step lungo il percorso fra la definizione del problema e la messa in atto e valutazione di una soluzione, prendendo spunto e incorporando i principi base dello sviluppo nel promuovere salute e benessere a livello delle città, affrontando i fattori sociali e culturali e impegnarsi per l’equità sanitaria, Integrando la salute e la sanità in tutte le politiche, per coinvolgere le comunità nell’elaborazione di soluzioni che mirino alla promozione della salute come bene comune, attraverso lo sviluppo di sinergie fattuali e partnership fra differenti attori del sistema e intersettoriale.
L’Urban health framework (UHF) deve essere visto come piattaforma dinamica a livello delle singole realtà urbane e non come modello che possa andare bene per tutte le città, un modello che si svilupperà nel tempo, in base allo sviluppo del contesto socio-demografico-urbanistico e delle nuove evidenze scientifiche, che sarà aggiornata periodicamente con nuovi strumenti, casi e altri contenuti richiesti all’evoluzione di nuovi scenari, ed è stato sviluppato per gli Health City Manager quali leader di progetto, i team e comunque per tutti coloro che sono interessati a creare interventi pubblici sostenibili di prevenzione sanitaria.
Esso è stato inoltre sviluppato per una varietà di utilizzatori in diversi campi e si propone di creare un fronte comune fra tutte le parti in causa per favorire la promozione della salute a livello urbano e accrescere il benessere nelle città.
L’Urban health framework (UHF) offre un approccio strutturato concreto allo sviluppo, alla pianificazione, alla verifica e alla valutazione degli interventi, fornendo strumenti per ognuno dei processi e dei casi portati ad esempio che illustrano buone pratiche messe in atto in vari contesti del tessuto sociale e urbano il tutto attraverso successivi step operativi in grado di creare un percorso e un piano per strutturare un intervento per affrontare un problema di salute e sanità pubblica.
L’Urban health framework (UHF) attraverso una “cassetta degli attrezzi” fornisce a ogni step gli strumenti necessari a sostenere lo sviluppo di interventi di salute e sanità pubblica nell’ottica del bene comune
Inoltre l’Urban health framework (UHF) attraverso un catalogo dei casi e delle buone pratiche, vuole fornire spunti ai quali è possibile ispirarsi alle migliori pratiche che hanno consentito di portare a termine interventi con successo. Questi casi vogliono dare un’idea concreta di quello che ci vuole per sviluppare e mettere in atto un intervento.
Indipendentemente dalla motivazione iniziale per cui si intraprende un intervento, dovranno sempre essere prese in considerazione da parte dell’Health City Manager le seguenti priorità sulle quali agire:
– Formazione di un urban health core team
– Valutazione della necessità dell’intervento e mappatura del contesto
– Esame del tempo e delle risorse disponibili
– Definizione delle proprie aspettative, e del relativo percorso per il loro perseguimento
– Individuazione e coinvolgimento di tutti i portatori d’interesse che insistono sulla realtà individuata
L’urban health core team, che dovrebbe composto da persone con competenze ed esperienze diverse in relazione all’intervento, si occuperà della gestione dell’operatività. È opportuno creare un team interdisciplinare che possa adottare un approccio olistico alla soluzione dei problemi.
Per quanto riguarda la valutazione della necessità dell’intervento, bisogna considerare se l’intervento è stato commissionato per affrontare una sfida chiaramente definita, e in che contesto all’interno delle priorità politiche-amministrative dell’amministrazione cittadina la stessa si pone. Tuttavia, se ci sono già interventi in atto per affrontare la sfida, è opportuno essere sicuri che quanto si vuole intraprendere migliori ciò che già esiste e si coniughi con le stesse in ottica di continuità
L’esame del tempo e delle risorse disponibili, deve rendere atto delle richieste e dei limiti stabiliti dai finanziatori e/o dai committenti dell’intervento circa lo sviluppo e l’ambito di applicazione, per esempio l’uso di strumenti digitali, di risorse umane e finanziarie, di cronoprogrammi e di altri elementi indispensabili per lo sviluppo e il successo di quanto da mettere in atto. Prima di avviare una fase di sviluppo, è opportuno valutare anche in maniera approssimativa se saranno necessarie altre risorse per realizzare il livello minimo accettabile di successo, nel qual caso si dovrebbe sapere dove reperire tali ulteriori risorse
Importante è la definizione delle proprie aspettative, assicurandosi che prima di cominciare il core team e i potenziali partner, finanziatori e committenti siano allineati agli obiettivi e alla tempistica necessaria per realizzarli e se il progetto si può sviluppare su scala o ampliandolo rispetto alle proposte originarie, creando sin dall’inizio un allineamento tra le proprie aspettative e quelle del contesto nel quale si opera e degli stakeholder coinvolti. Solo attraverso una corretta individuazione e il pieno coinvolgimento di tutti i portatori di interessi, si arriverà a definire un percorso di perseguimento delle aspettative co-programmato e co-deciso, in grado di assicurare il massimo impatto delle azioni generate.
Gli step che guidano l’azione
L’Urban Health Framework (UHF), non può prescindere da una pianificazione strategica degli interventi e delle fasi del piano che si intende sviluppare e guidino l’azione partendo come primo step dalla definizione del problema, attraverso l’identificazione dei dati ad esso relativi, l’analisi dei dati e del contesto, per arrivare alla produzione di un enunciato del problema.
Il prodotto finale di questo step comprenderà un enunciato del problema e un obiettivo dell’intervento enunciato che riassume il problema e delinea:
– Cosa si deve cambiare
– Chi sarà impattato dal cambiamento
– Dove si verificherà il cambiamento
– Quando si verificherà il cambiamento e per quanto tempo è stimata la transizione
Questo enunciato deve essere utilizzato nel successivo step o per determinare come si realizzerà l’obiettivo dell’intervento realizzando traguardi specifici.
Come secondo step va considerato il riscontro del commitment, attraverso lo svolgimento di un’indagine fra gli stakeholder, la formazione di una partnership e di un network, che porti allo sviluppo di un modello logico.
Il prodotto finale di questo step è un modello logico che è alla base della progettazione delle attività dell’intervento. Il modello logico sarà anche la base di futuri passaggi durante il ciclo di vita dell’intervento e che in base all’obiettivo dell’intervento, permetta di identificare dei traguardi di cambiamento comportamentale e ambientale che aiuteranno a realizzare l’obiettivo
Segue la fase di progettazione dell’intervento, attraverso la verifica delle possibili attività, l’analisi e attribuzione di priorità alle attività previste sull’intervento, per arrivare alla finalizzazione della progettazione dell’intervento stesso.
Il prodotto finale di questo step è la progettazione dell’intervento con un modello logico progettuale aggiornato con le attività descritte. La descrizione dovrebbe illustrare in dettaglio il modo in cui l’intervento determinerà il cambiamento auspicato.
Dovrebbe essere chiaro qual è il contenuto dell’intervento, dato che è alla base del piano d’azione per realizzare l’intervento nel prossimo step che consiste nell’elaborazione di un piano.
Questi tre primo step permettono di arrivare all’elaborazione di un piano, che partendo dalla valutazione delle risorse e delle capacità disponibili, generi la creazione di un piano d’azione e la progettazione di un sistema di monitoraggio e valutazione.
Un piano d’azione e un sistema per il monitoraggio e la valutazione che serva da guida per mettere in atto e realizzare l’intervento nonché per indicare come tale intervento debba essere monitorato e successivamente valutato, con una attenta valutazione delle risorse e delle capacità disponibili, cioè budget, tempi e competenze per realizzare l’intervento.
Quest’ultimo elemento è importante e basilare per permettere di implementare strategie di attuazione e monitoraggio, che permetta e la messa in atto dell’intervento, attraverso l’interazione con gli stakeholder per migliorare la messa in atto a garanzia di adeguamenti e comunicazioni costanti tra le parti.
Si tratta dunque di un intervento messo in atto secondo il piano e che è monitorato, valutato e adattato in corso d’opera, che veda il coinvolgimento degli stakeholder.
L’intervento o il progetto pilota dovrebbe essere testato e affinato, se lo scopo è la scalabilità dello stesso.
Segue e completa la fase di valutazione e sostenibilità, con uno svolgimento di un percorso di valutazione, informativa, condivisione e discussione sulle conclusioni per arrivare a condividere la decisione di sostenere, scalare o arrestare il progetto stesso.
Una valutazione fatta per documentare i rilievi sull’intervento e il rapporto da fornire agli stakeholder di rilievo per arrivare alla redazione di un piano che permetta all’Health City Manager di coordinare percorsi integrati sull’urban health.
Considerazioni conclusive
L’esperienza dei percorsi formativi per Health City Manager, dedicati agli under 35, e delle comunità di pratica all’interno dei contesti urbani citati dimostrano come l’Health City Management Framework possa rappresentare una risposta concreta, innovativa e moderna alle sfide che l’Urban Health pone, accompagnando decisori e cittadini in un percorso di consapevolezza, partecipazione e miglioramento della qualità della vita nei contesti urbani a livello globale.