COSTITUITA LA RETE ITALIANA DELLE CITTÀ PER L’EQUITÀ, CHE SI ISPIRANO AI PRINCIPI DELLE MARMOT CITIES
Il 13 maggio 2024, organizzato dal Centro Nazionale per la Salute Globale dell’ISTITUTO SUPERIORE DI SANITÀ si è svolto il convegno della Rete Italiana per l’equità, una iniziativa che si ispira all’esperienza sviluppata in Inghilterra delle cosiddette Marmot Cities.
Nel Regno Unito, dall’uscita della Marmot Review, pubblicata nel 2010, ad oggi, oltre il 70% delle amministrazioni locali stanno lavorando con l’intento di sostenere i “principi della Marmot Review”, al fine di migliorare la salute e ridurre le disuguaglianze di salute.
L’azione locale è centrale poiché risponde alle condizioni in cui le persone nascono, crescono, lavorano, vivono e invecchiano. Il Comune costituisce il naturale “ombrello” sotto cui realizzare azioni mirate per la riduzione delle disuguaglianze che tengano conto dei determinanti sociali di salute. In questo contesto, il coinvolgimento dell’Associazione Italiana Comuni (ANCI), in grado di rappresentare oltre 7000 Comuni italiani, è senza dubbio fondamentale per la sostenibilità della nascente rete.
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L’evento ha visto la partecipazione di rappresentanti di alcune realtà italiane che già da tempo hanno intrapreso concrete azioni per la riduzione delle diseguaglianze di salute a livello locale, quale HCI insieme alla partecipazione di alcuni esponenti internazionali di rilievo in questo ambito, ha vut l’obiettivo di promuovere la costituzione di una Rete delle città italiane, che coinvolga autorità locali ed esperti multisettoriali, per la messa a punto e implementazione di strategie, per affrontare le disuguaglianze sociali di salute all’interno dei contesti urbani.
Più in particolare, l’intento è quello di costituire una Rete Italiana di Città per l’Equità, che coinvolga tutti i principali attori che operano a livello territoriale, quali l’amministrazione locale, i servizi sanitari e di cura, le organizzazioni che promuovono l’attivismo dei cittadini, le associazioni di volontariato, quelle religiose e della comunità, e altre ancora, con l’obiettivo di promuovere una salute equa e sostenibile, che possa collaborare con la rete delle Marmot Cities già presente nel Regno Unito.
L’intento è, quindi, formalizzare chiari e fattibili obiettivi, che permettano un concreto e proficuo avvio della Rete.
In effetti l’Institute of Health Equity con Marmot e il suo gruppo stanno accompagnando le autorità e le comunità di diverse città britanniche a mettere in opera questi principi con azioni concrete. Manchester, Coventry, Cheshire and Merseyside e Luton hanno già elaborato rapporti e dato vita a piani di azione. Lancashire and Cumbria e Waltham Forest stanno per uscire con i loro prodotti. Gwent, South West Region, Greater London stanno elaborando le proposte. Leeds, Kent, South East Region of England e North of Tyne stanno discutendo di entrare nel percorso. Era dai tempi del governo Blair alla fine degli anni Novanta che le disuguaglianze di salute non trovavano interlocutori e occasioni concrete per entrare nell’agenda delle politiche britanniche con sistematiche azioni di contrasto o mitigazione.
In effetti da un lato con le “Marmot Cities” si riconosce che la città o la regione è il setting più appropriato ed efficiente per mettere in opera questi principi. A livello locale si possono sensibilizzare le autorità e gli stakeholder sull’importanza della salute disuguale, con loro si possono ricercare i meccanismi di generazione che sono evitabili e identificare i centri di responsabilità che sono in grado di aggredire questi meccanismi muovendo le azioni di contrasto. Dall’altro lato i fondi del welfare locale sono stati tra le principali vittime dell’austerità negli ultimi decenni: i tagli nei sussidi e benefici fiscali per la casa, la povertà, i trasporti, la scuola in Gran Bretagna sono pari a dieci volte quanto il governo intende risarcire alle amministrazioni locali con il programma e i fondi del Levelling Up . E’ così che ad esempio l’area metropolitana di Manchester si è data un vasto piano post-pandemico “Build Back Fairer”, arrivando a fissare indicatori segnaletici di intervento in modo da tenere sotto controllo lo sviluppo delle azioni proposte in ogni setting (primi anni di vita e scuola, casa trasporti e ambiente, lavoro, comunità, sanità pubblica, sistemi informativi).
Dunque i luoghi, le istituzioni e gli attori della comunità locale con le loro strutture e processi possono essere il setting “ombrello” sotto cui i principi di Marmot possono passare dalle dichiarazioni ai fatti e diventare esigibili con obiettivi trasparenti e valutabili tramite indicatori innestati negli interventi degli specifici setting (scuola lavoro comunità…). Questo modello potrebbe essere un buon esempio da seguire in Italia nella implementazione dei Piani Regionali e Locali di Prevenzione. Secondo il Piano Nazionale della Prevenzione ogni programma predefinito, relativo ad uno specifico setting di intervento, dovrebbe essere disegnato e monitorato mirando a ridurre le disuguaglianze di salute attraverso un approccio di Health Equity Audit – HEA.
Ma ognuno di questi setting specifici si colloca sotto un setting “ombrello” locale che è il comune o la città metropolitana o la provincia: questi sono i luoghi della programmazione, della partecipazione e della democrazia deliberativa che più di ogni altro dovrebbero avere a cuore l’uguaglianza delle opportunità e dei risultati di salute. Sarebbe quindi naturale che gli sforzi di HEA di ogni setting di intervento fossero coordinati e armonizzati tra di loro in modo da farli convergere verso obiettivi condivisi di riduzione delle disuguaglianze, come accade nel caso delle “Marmot Cities”.
L’investitura in questo ruolo di setting “ombrello” dell’HEA per i comuni, città metropolitane e province però non avviene spontaneamente, senza uno stimolo e senza un aiuto. Per questo scopo l’Institute of Health Equity IHE di Marmot ha deciso di costituire in Gran Bretagna una rete di “Marmot Cities” che con l’assistenza di IHE si impegna a scambiare idee, metodi, strumenti e occasioni di incontro di esperienze per orientare all’equità di salute le politiche locali. La stessa offerta di assistenza l’IHE la rivolgerebbe alle realtà locali italiane che intendono muoversi in questa direzione, alcune delle quali insieme all’Istituto Superiore di Sanità hanno incominciato ad incontrarsi per valutare questa opportunità in un recente convegno a Palermo.
Questo invito alle città italiane capita in un contesto di programmazione particolarmente favorevole. Si è già detto che il Piano Nazionale di Prevenzione prescrive alle Regioni e ASL di usare sistematicamente l’HEA nei programmi di prevenzione degli specifici setting coordinandoli sotto il setting “ombrello” dell’istituzione e autorità locale, un risultato ottenuto anche grazie ai lavori della Joint Action Health Equity Europe JAHEE, coordinata dall’Italia tramite l’Istituto Superiore di Sanità.
Anche il Piano Nazionale Cronicità raccomanda che venga sviluppato un pieno dispiegamento della sanità di iniziativa, che è l’approccio più efficace per ridurre le disuguaglianze nella storia e negli esiti delle malattie croniche. Infine è arrivato PNRR che con le Case della Comunità e i suoi investimenti in luoghi e innovazioni organizzative e tecnologiche offre una opportunità unica per dispiegare con nuove risorse tutte le azioni previste dai piani di prevenzione e di cronicità in modo integrato con le altre politiche locali, almeno con le cure sociali.
Ma è lo stesso PNRR ad offrire molti investimenti locali che intervengono sui più importanti determinanti di salute: ambiente, trasporti, scuola, casa, povertà e inclusione sociale, digitalizzazione. Dunque il setting “ombrello” della città o dell’insieme dei comuni diventa l’interlocutore di una programmazione locale integrata tra prevenzione cronicità e PNRR capace di calibrare le scelte sulla base del loro impatto atteso sulla salute disuguale.
Quanto sono pronte le città a sfruttare queste opportunità e quanto sono pronte le strutture di sanità pubblica ad accompagnarle, anche aderendo alla iniziativa di IHE delle “Marmot Cities”? Alcune reti di città già si stanno proponendo di regolare le scelte in base all’impatto atteso sulla salute; ad esempio le reti OMS di Città Sane o di Regioni per la Salute, o anche la rete di Cities Changing Diabetes sarebbero dei partner naturali dell’iniziativa di IHE; inoltre le reti OMS avrebbero già in sé un esplicito mandato di dare priorità agli interventi sui determinanti sociali. Una precondizione per usare l’approccio dell’HEA a livello locale è quella di saper misurare le disuguaglianze sociali in tutti gli indicatori di salute; da tempo in alcune città italiane si è investito nella creazione di studi longitudinali metropolitani basati su interconnessione di dati di censimento e di dati sanitari su base individuale all’interno del Programma Statistico Nazionale (Caranci et al 2018); queste città si sono costituite in rete e adottano e scambiano metodi, strumenti, regole permettendo anche di comparare le disuguaglianze di salute tra le diverse realtà locali (Petrelli et al 2019).
Misurare le disuguaglianze locali è una pre-condizione non sufficiente per mettere in moto una “Marmot City”, occorre un coinvolgimento strutturato delle istituzioni e degli attori locali intorno al comune obiettivo di ridurre le disuguaglianze di salute e di costruire una governance dedicata a questo scopo sulle principali linee di programmazione che si sono prima richiamate, dal PNRR ai piani cronicità e prevenzione. Incoraggianti esperienze sono state avviate in alcune realtà locali. Ad esempio Torino, Bologna e il Lazio hanno messo in moto un processo di coinvolgimento degli attori sui dati della salute disuguale (Zengarini et al 2021; L’equità nel diritto alla salute: il contrasto alle disuguaglianze nella città di Bologna, Salute ed equità nella Regione Lazio).
Rimini e la sua ASL hanno preso sul serio la prescrizione del Piano Regionale di Prevenzione sull’HEA a livello delle politiche locali e stanno costruendo una governance idonea a costruire un piano di azione locale di contrasto delle disuguaglianze di salute a cui concorrano tutti i programmi locali di prevenzione sanitaria e non sanitaria. Al recente convegno di Palermo altre realtà locali hanno dichiarato la loro disponibilità a partecipare a questa impresa, dalla Città di Roma a quella di Palermo.
Date queste premesse, concludo con un elenco di possibili risposte italiane a questa iniziativa su una rete di “Marmot Cities” italiane avanzata dall’Istitute of Health Equity di Michael Marmot.
Seguendo le prescrizioni del Piano Nazionale di Prevenzione sarebbe utile che il Ministero con i suoi enti centrali prestasse assistenza tecnica alle regioni per mobilitare questo setting “ombrello” delle città a coordinarsi con gli HEA dei diversi setting specifici, soprattutto nelle realtà dove le reti OMS o di CCD sono già attive.
Le nuove Joint Action europee in corso di programmazione sul tema di malattie croniche e determinanti del cancro e delle malattie non trasmissibili, molta parte delle quali è sotto il coordinamento dell’Italia attraverso l’Istituto Superiore di Sanità, potrebbero offrire risorse e mandati apposta per questo obiettivo. Servirebbe dare un nuovo impulso alla possibilità di interconnessione di dati sociali e sanitari a livello locale in molte altre città e regioni secondo il modello della rete degli studi longitudinali metropolitani; la progettazione delle Case della Comunità è un’occasione preziosa per sostenere questo obiettivo. A questo le città interessate potrebbero candidarsi a entrare in questa rete ognuna al livello di maturazione che più di presta al suo contesto.