Editoriale LAVORARE ASSIEME PER IL PIANETA – Fabio Mazzeo

“C’era una volta una città nel cuore dell’America dove tutta la vita sembrava scorrere in armonia con il paesaggio circostante”. Inizia così “Silent Spring”, Primavera silenziosa. La biologa americana Rachel Carson lo scrisse nel 1962, e da allora viene considerata la madre del moderno ambientalismo, Più di sessanta anni fa lei vide gli effetti dell’operato irresponsabile dell’uomo nell’immettere nella natura fattori inquinanti. E già allora esortava la comunità americana verso modelli di sviluppo più responsabili perché quel continuo avvelenare l’aria, l’acqua, il terreno, si sarebbe rivelata infine una pericolosissima guerra dell’uomo contro l’uomo.

Nei sessant’anni da quell’appello lanciando dalla Pennsylvania di un’idea di sviluppo che tenesse conto di tutti gli organismi presenti nel Pianeta abbiamo visto l’affermazione della civiltà della plastica e l’espansione di un’industria sempre più energivora che nella gara di produzione ha portato la Cina a doppiare gli Stati Uniti per quantità di emissioni inquinanti.

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Il cambiamento climatico è la risposta della Terra, che non urla. Sottovoce arriva il segnale sotto forma dell’innalzamento della temperatura globale la cui misurazione è ben più complessa della percezione di un singolo uomo in un determinato posto.

La scienza ci dice che gli effetti, salvo cambiamenti di rotta, saranno devastanti. E come spesso capita, quando la scienza ci dice qualcosa che non ci conviene la reazione è quella di negarla, dimenticando che è stato grazie alla scienza che dalle caverne siamo arrivati sui nostri divani dove grazie a un telecomando scegliamo il programma tv tra satelliti e download.

Considerato lo sterminato talento dell’uomo, una possibilità d’uscita è che anche grazie nuovi compagni di lavoro come i supercalcolatori, presto arrivi una soluzione che interrompa l’abuso di combustibili fossili. Essi sono la prima causa di inquinamento e nel 2020 uno studio di Greenpeace stimava ogni anno, a causa della immissione dei loro scarichi nell’aria, un costo di 4,5 milioni di morti; l’inquinamento su scala mondiale costa 8 miliardi di dollari al giorno. Sono numeri impressionanti!

Se usiamo quello studio come riferimento dobbiamo pensare che in Italia ogni anno muoiono per cause strettamente collegate al clima oltre 56.000 persone, una città di medie dimensioni spazzata via. Gli effetti diretti sulla salute umana sono devastanti. Il biossido d’azoto causa nel mondo 4 milioni di nuovi casi di asma tra i bambini, e per l’inquinamento prodotto dalle polveri sottili 1.8 miliardi di giorni lavorativi vengono persi per malattia. I dati citati riguardano l’intero pianeta perché la sfida è globale. È la partita in cui solo uniti si può davvero vincere. E questo è il primo dei grandi problemi, perché il tatticismo politico mira alla produttività e alla ricchezza da garantire (a chi?) nell’immediato.

I negazionisti del cambiamento climatico pare possano dormire sonni tranquilli, nessuno sembra potersi permettere di puntare sul futuro. Lo sa bene Greta Thunberg, che nel 2018 lanciò la sfida sua e dei ragazzi della sua generazione contro la politica inerte rispetto ai problemi del clima. Per chi siede comodamente sul presente fu molto più semplice prendere di mira la giovanissima attivista svedese per la sua diagnostica sindrome di Asperger piuttosto che pesare e riflettere con attenzione sulle parole da lei pronunciate.

Nei film degli anni ’50 vediamo in bianco e nero che era ancora possibile fare il bagno nei fiumi, ciascuno all’interno dei perimetri urbani coltivava un piccolo orto, “la vita sembrava scorrere in armonia con il paesaggio circostante”. Recuperare quell’armonia? Impossibile nel breve termine. Quasi impossibile in assoluto. Quasi.

“Siamo la prima generazione a sapere che stiamo distruggendo la Terra e l’ultima che può fare ancora qualcosa”, dice Tanya Steel, direttrice del WWF. Forse c’è un troppo di retorico, e comunque Rachel Carlson lo aveva capito sessant’anni fa che stavamo distruggendo il Pianeta. La citazione della Steel è nell’apertura del sito planetaryhealt.it, un inner circle nato in Italia con l’ambizione di sensibilizzare su un tema che sta mettendo a repentaglio la nostra salute e i sistemi sanitari.

Ampiamente previsto dall’IIPH (Italian Institute for Planetary Health) guidato dai professori Walter Ricciardi e Giuseppe Remuzzi, l’ultimo dei dati agghiaccianti di uno studio pubblicato su Nature Medicine ci ha confermato che a causa del caldo estremo dell’estate, nel 2022 sono morte nel nostro Paese 18.000 persone in più. L’introduzione del concetto di Planetary Health è l’intuizione di chi ha colto l’importanza dell’eredità di quel manifesto del 1962: è al circostante, a tutto il circonstante che dobbiamo guardare. Nessuno si salva da solo, nessuna specie in nessuno stato o un continente, se al Pianeta manca l’aria.

La circostanza che la sfida sia globale tende a fornire a ciascuno un alibi per non fare. Ma c’è chi vuole provarci, perché se non è l’uomo a prendere iniziativa nessun altro lo farà. Se il Pianeta muore, il Pianeta se infischia. Sono gli uomini a rimetterci, la posta in gioco è la sopravvivenza della specie.

Chi inizia a fare qualcosa?

Cominciare dai comportamenti individuali, dalle lezioni a scuola, dalle singole città può essere un’idea. Ci sono decine di movimenti, soprattutto di giovani, che già si organizzano, studiano, invocano una nuova pianificazione urbana promuovendo la realizzazione di parchi urbani, aziende agricole all’interno delle città. Sono i giovani i più sensibili alla sfida della mobilità nelle metropoli dove vince chi abbandona il mezzo privato a patto che funzionino i sistemi di trasporto pubblico. C’è la grande partita dei rifiuti, del loro smaltimento, del riciclo e poi la grande sfida della gestione delle acque. Secondo l’Istat nelle città italiane ogni 100 litri di acqua erogata 42 vengono dispersi. In Itali a abbiamo. Un sistema idrico colabrodo incuranti del suo enorme valore: chi ce l’ha prospera, chi non ce l’ha darà vita a una nuova epocale migrazione. È la storia che si ripete e dalla quale l’uomo sembra avere qualche difficoltà a imparare. Sono queste le battaglie che forse vale la pena cominciare. Ciascuno per la parte che può nel ruolo che ha.   “Noi non abbiamo ereditato il mondo dai nostri padri, ma lo abbiamo avuto in prestito dai nostri figli e a loro dobbiamo restituirlo migliore di come lo abbiamo trovato.” È una delle frasi più celebri. La pronunciò Robert Baden Powell, il fondatore dello scoutismo. L’impressione è che troppi padri oggi guardino alla loro esistenza personale come il fine e la fine di tutto, non vedendo, tornando a Rachel Carson, che ”l’uomo fa parte della natura e la sua guerra contro la natura è inevitabilmente una guerra contro se stesso”.