UN PIANETA FRAGILE, TRA CRESCITA DEMOGRAFICA E IMPATTO AMBIENTALE
Federico Serra – Segretario Generale Health City Institute e Cities+, Direttore Generale del Planetary Health Inner Circle
Come tutti sappiamo, il nostro ambiente planetario si sta deteriorando rapidamente. Il cambiamento climatico, la perdita di biodiversità, l’inquinamento idrico, la deforestazione e altri cambiamenti ambientali globali stanno accelerando e influenzeranno profondamente la salute umana, non solo nelle parti più vulnerabili del mondo ma anche in Europa. Esiste un ampio consenso sul fatto che il settore sanitario pubblico debba affrontare urgentemente questi problemi, ma è come ci fosse un elefante in una stanza, come ci dice il Prof. Johan P Mackenbach, dell’Erasmus di Rotterdam, che la maggior parte di noi preferisce ignorare.
Questi accelerati cambiamenti ambientali sono stati causati da una combinazione di crescente crescita economica e crescente crescita della popolazione, e sebbene l’aumento dei consumi pro capite sia stato il più importante dei due, anche l’aumento del numero della popolazione umana ha dato un contributo significativo sarà vero in futuro: quanto più crescerà la popolazione mondiale, tanto più difficile sarà ridurre l’impatto delle attività umane sulla Terra e fermare l’ulteriore degrado ambientale.
L’aumento demografico porta con sé alcune sfide complesse da affrontare in termini di sostenibilità ambientale, economico, sociale e di sanità pubblica
I fatti parlano da soli. Il passato aumento della popolazione mondiale, da circa 1 miliardo nel 1800 a quasi 8 miliardi nel 2020, è il risultato di un calo della mortalità che precede e supera il declino della fertilità. Sebbene il calo della fertilità abbia recentemente rallentato la crescita della popolazione, la popolazione totale mondiale è ancora in crescita e probabilmente raggiungerà il picco di 9 miliardi, 10 miliardi o anche di più nel corso del 21° secolo, a seconda delle esatte traiettorie della mortalità e del cambiamento della fertilità.
Mackenbach ipotizza che la scelta di un percorso a bassa crescita potrebbe avere molteplici vantaggi, portando con sé minori emissioni di gas serra, minore distruzione degli habitat di altre specie, minore inquinamento, ecc. e riducendo anche i costi delle politiche di mitigazione e di adattamento.
Mentre con le attuali cifre demografiche i bisogni fisici dell’umanità, come la nutrizione, possono forse essere soddisfatti entro i “confini planetari”, il raggiungimento di obiettivi più qualitativi come un’elevata qualità di vita, condizioni di benessere e salute diffusi, sistemi sanitari universalistici, saranno difficili da raggiungere, con questi aumenti demografici.
Tuttavia, le politiche demografiche di solito non sono considerate parte delle strategie sul cambiamento climatico, o delle politiche per ridurre la rapida perdita di biodiversità, o di altre politiche di “salute planetaria”, e in più poggiano su temi etici di grande sensibilità.
E allora perché facciamo finta di non vedere l’elefante che è nella stanza? Mackenbach ci dice che è frutto di percezioni errate, come l’idea sbagliata che il numero della popolazione non abbia molta importanza per il cambiamento ambientale globale, o l’idea altrettanto sbagliata che i programmi di pianificazione familiare siano inefficaci, potrebbero avere un ruolo. Ma la ragione più importante probabilmente è che molte persone si sentono a disagio l’idea di promuovere attivamente un rallentamento della crescita della popolazione, per non parlare di ragionare su una riduzione del numero della popolazione umana.
Temi che riguardano l’etica e la scelta individuale nella creazione dei nuclei familiari, sono temi difficili da incardinare all’interno di strategie di pianificazione e di sostenibilità.
Le politiche demografiche spesso sollevano questioni etiche controverse riguardo alla pianificazione familiare, all’aborto e all’immigrazione, e perché si dovrà conciliare l’autonomia individuale e il diritto alla procreazione con gli interessi collettivi e la necessità di evitare il collasso ecologico. Un’altra questione per Mackenbach complicata, perché che la crescita della popolazione attualmente avviene principalmente in Paesi con un basso consumo pro capite, e sembra ingiusto esortarli a limitare la loro crescita demografica, mentre ai Paesi attualmente più ricchi non è mai stato chiesto di fare lo stesso.
Storicamente, la sanità pubblica ha dato un contributo importante alla riduzione della mortalità, e aiuta ancora i bambini a sopravvivere fino all’età fertile, o gli anziani a sopravvivere fino a un’età molto avanzata, il che ha un impatto sul numero futuro della popolazione e ha conseguenze a valle l’impronta ecologica dell’umanità. Potremmo provare a rassicurarci sottolineando che il calo della mortalità è solitamente seguito dal calo della fertilità, ma è sufficiente?
La crisi ecologica in atto richiede che la sanità pubblica sviluppi una visione su come contribuire al meglio – nel lungo periodo, ma nel più breve tempo possibile – a ridurre il numero di persone sulla Terra. Combinare interventi di sanità pubblica con programmi di pianificazione familiare che promuovano il controllo volontario delle nascite è utile, ma difficilmente sarà sufficiente, e forse dovrebbero essere prese in considerazione anche opzioni più radicali. Usare una comunicazione persuasiva sulle persone culturalmente più fragili? Incentivare le persone ad avere meno o nessun figlio? Rallentare lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie riproduttive e di estensione della vita?
Tutte opzioni difficili da mettere in atto, ma il nostro dovere è renderci conto dell’elefante che è all’interno di questa stanza chiamata Terra.